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Ukiyo-e. L’arte del mondo fluttuante e della vita che passa

Governata dallo shogunato della famiglia Tokugawa, tra il 1600 e il 1868 la società giapponese conobbe una lunga fase di pace e stabilità nota come “periodo Edo”, durante il quale si sviluppò un nuovo stile artistico intriso di edonismo e naturalismo.

Ultimi esponenti di quel potere feudale che aveva contraddistinto per secoli il governo del Giappone, i Tokugawa furono al vertice di una piramide sociale fortemente gerarchizzata che vedeva al primo posto la casta dei guerrieri samurai, al secondo i contadini seguiti dagli artigiani e dai commercianti e alla base i fuori casta, i paria. Il potere politico era in mano ai samurai che occupavano cariche burocratiche e amministrative mentre ai commercianti era affidato quello economico.

In questa realtà, che il lungo periodo di pace rendeva ordinata e rigogliosa, le arti conobbero un incredibile momento di fulgore. Diversa, però, fu la visione che i due gruppi al potere ebbero nei riguardi della produzione artistica; i samurai, infatti, decisamente più tradizionalisti, cercarono di tenere viva l’arte ufficiale di corte, dominata dagli artisti esponenti della scuola Kano fondata da Kano Masanobu (1434-1530) che rifiutava lo stile monocromo di origine cinese preferendo uno stile più decorativo e policromatico che esprimeva il meglio di sé nei paraventi e nelle pitture murali. La ricca borghesia, viceversa, per esprimere al massimo il suo potere sempre più incisivo legato alla forte e continua espansione urbanistica, vollero allontanarsi dalla cultura ufficiale e cercarono una propria espressione artistica a dimostrazione dell’acquisita egemonia sulla società giapponese. Nacque così una ricca e variegata cultura popolare che portò alla produzione di importanti opere letterarie, teatrali e artistiche ispirate sia dal mondo dei quartieri popolari di piacere di Edo – istituiti alla fine del XVI secolo – sia da quello del teatro kabuki, entrambi contraddistinti da uno stile di vita disinibito ed edonistico, in contrasto con quello altamente etico dei samurai, che fu definito ukiyo, mondo fluttuante.

La cultura ukiyo

Il quartiere di Yoshiwara, interprete come nessun altro di questo nuovo sentire altamente edonistico, divenne la culla della cultura ukiyo. Le raffinate rappresentazioni di paesaggi, fiori, animali e stagioni che avevano contraddistinto l’arte classica giapponese cedettero il passo alla raffigurazione di esseri umani intenti al loro lavoro al fine di rappresentare quel mondo popolare, tipico della coeva cultura urbana. La stampa a inchiostro, eseguita con blocchi di legno incisi, si dimostrò essere la tecnica migliore sia per la com­mer­cializzazione dei testi di letteratura sia per la realizzazione di ukiyo-e, ovvero “immagini del mondo fluttuante”. Già alla metà del 1600, i libri realizzati dagli artisti con la tecnica xilografica erano diventati un fenomeno di massa così come altamente apprezzate erano le vivaci rappresentazioni di scene, anche erotiche, tratte dai quartieri di piacere e delle cortigiane o dalla vita quotidiana della borghesia della capitale. Monocrome, realizzate a grandi tratti e linee spesse quasi sempre su un unico foglio di carta, quando non raffigurate in dittici o triptici, queste stampe rappresentano paesaggi semplificati con uomini e donne, quasi sempre cortigiane e attori, ripresi mentre partecipano a festività popolari o svolgono attività cittadine. Tra i primi esponenti del genere ci fu Hishikawa Moronobu che realizzò una serie di immagini con i divertimenti che si potevano trovare nelle case di piacere. La scuola di Moronobu dominò l’era Genroku (1688-1704) che coincise con la fioritura della prima cultura Edo che andò man mano crescendo lungo tutto il 1700.

I maestri del mondo fluttuante

La fine del XVIII secolo rappresentò l’età dell’oro delle stampe ukiyo-e. Principale esponente di questo periodo fu Torii Kiyonaga (1752-1815), il quale inizialmente si dedicò alle stampe con soggetti teatrali per poi raggiungere la popolarità grazie alle sue composizioni su fogli singoli e plurimi, dal tratto preciso e accurato, raffiguranti il mondo dell’essere umano comune di Edo: strade, negozi e case da tè della città vivacizzate dalla presenza soprattutto di giovani. Anche le cortigiane, idealizzate e inserite in paesaggi aperti e realistici con sfondi di vedute di Edo, divennero uno dei suoi soggetti preferiti.
Nell’era Kansei (1789-1801), la stampa raggiunse il suo apogeo grazie al grande maestro Kitagawa Utamaro (1753-1806). A lui si deve il perfezionamento della tecnica di stampa a colori; sfondi gialli e grigi contraddistinsero le sue esecuzioni rese, in un secondo momento, ancora più preziose da uno sfondo in minerali di mica che le illuminavano esaltandone ogni dettaglio con il loro opalescente brillio.
Come altri artisti, anche Utamaro iniziò la sua carriera disegnando locandine teatrali, e solo dopo essersi associato al noto ed influente stampatore/editore Tsutaya Jūzaburō, sostenitore e artefice della sua ascesa commerciale – col quale pare vivesse ai margini del quartiere di Yoshiwara le cui case di piacere entrambi frequentavano – cominciò ad indirizzare la sua attenzione alle prostitute, le cui raffigurazioni rimangono memorabili. A questa fase, appartiene la raccolta Canto del guanciale, uno dei circa 30 album di immagini a carattere erotico realizzati dall’artista/poeta. Tantissimi altri pittori giapponesi, compreso il ben più famoso a livello internazionale, Hokusai, produssero raffigurazioni di questo tipo, tuttavia Utamaro rimane il nome che più di tutti e in maniera più consistente ha contribuito allo sviluppo del soggetto. A partire dagli anni novanta del Settecento, l’artista, sempre interessato alla figura femminile, introdusse il ritratto di donna a mezzo busto, un’innovazione che fece di lui, già celebre presso i suoi contemporanei, la vera star del periodo.

Negli ultimi anni del XVIII secolo, anche a seguito delle leggi suntuarie che vietavano la raffigurazione delle cortigiane dei quartieri di piacere, Utamaro fu costretto a cambiare i suoi soggetti. Scelse, allora, di raffigurare mogli e figlie dedite con diligenza alle attività domestiche nonché madri che curano amorevolmente i loro bambini. In tutte le sue raffigurazioni, comunque, l’artista si distinse per la sua ricerca del superamento dell’immagine convenzionale e tradizionale della donna e della sua femminilità fornendo uno studio psicologico approfondito di tutte le sfumature più nascoste della personalità e dell’animo femminile, assolutamente estranee all’arte dei suoi predecessori.
Verso la fine del periodo Edo, fu la scuola Utagawa, fondata da Utagawa Toyoharu (1735-1818), a dominare il mercato dell’incisione grazie al suo stile vivace e sgargiante. Toyoharu divenne uno dei primi artisti ukiyo-e a specializzarsi nella rappresentazione del paesaggio giapponese nel quale introdusse la prospettiva, conosciuta attraverso le incisioni olandesi arrivate in Giappone grazie ai commercianti di quel paese, gli unici occidentali a cui era permesso prendere terra sul suolo nipponico seppure solo su una piccola isola nella baia di Nagasaki. L’attenzione per il paesaggio tipica dell’arte fiamminga trovò terreno più che fertile nella mentalità artistica giapponese; nacque, così, una nuova forma di ukiyo-e, piena di allettanti attrattive, nella quale si distinsero in maniera magistrale Hokusai e Hiroshige. Non si deve dimenticare che la natura e il sentimento di essa è parte integrante della vita, dell’arte e dell’architettura del Giappone che in essa riconosce un’imprescindibile fonte di armonia e religiosità. Lo Shintoismo (letteralmente, la via degli dei), infatti, religione di stato fino alla seconda guerra mondiale originata proprio come culto della natura, non riconosce un Dio supremo, ma un numero indefinito (da 80 a 800 mila) di divinità naturali e terrestri che portarono il “Paese del sol levante” ad essere definito “Shinkoku”, cioè “Paese degli dei”. Proprio a questo rivolgersi al naturale, sentimento che lui stesso ha contribuito ad evolvere nel suo popolo, Katsuhika Hokusai (1760-1849) si rifece nelle sue xilografie. Allievo della scuola di Katsukawa Shunsho, inizialmente, si specializzò anche lui nelle stampe di cortigiane e attori. Interessatosi alla pittura della scuola Kano così come a quella occidentale e cinese, si dedicò solo in un secondo momento alla raffigurazione di paesaggi e scene di vita quotidiana del popolo giapponese a tutti i livelli sociali. Tra il 1815 e il 1878, pubblicò i famosi Manga (schizzi sparsi), abbozzi di paesaggi, fiori, alberi, animali, scene riguardanti la vita quotidiana e il soprannaturale. L’opera in 15 volumi (tre dei quali postumi) fu pubblicata dal tedesco Philipp Franz von Siebold e incominciò a circolare per tutto l’Occidente dopo l’apertura delle frontiere giapponesi agli Americani, nel 1854. È, comunque, tra il 1823 e il 1834 che Hokusai realizzò i suoi capolavori: Le Trentasei vedute del Fuji (che comprende quella Grande onda presso la costa di Kanagawa per cui è universalmente conosciuto), Cascate nelle varie province, Mille vedute del mare, Otto vedute delle Isole Ryukyu.
Delle sue xilografie si servì Utagawa Hiroshige (1797-1858) per effettuare un cammino che è un vero e proprio viaggio, sommabile allo scandire del tempo, tipico della natura e dell’esistenza, e al percorso che da Edo conduceva a Miyako, attuale Kyoto. Tutti i Giapponesi, quasi un pellegrinaggio, erano usi farlo, e anche Hiroshige, che nel 1830 sembra avesse accompagnato per una parte del tragitto la delegazione dello shōgun che inviava i cavalli sacri in dono all’imperatore da Edo a Kyoto lungo la via del Tōkaidō.
Nel 1833-34, probabilmente ispirandosi agli schizzi realizzati in quell’occasione e in concorrenza con le Trentasei vedute del Monte Fuji di Hokusai, l’artista produsse le Cinquantatrè stazioni di posta del Tōkaidō. La serie ebbe un successo straordinario e venne ristampata più volte negli anni seguenti rendendo celebre l’artista.
Negli anni successivi, la sua produzione si intensificò con le immagini delle Illustrazioni dei luoghi celebri delle sessanta o oltre province (1853-56) e soprattutto con gli scorci delle Cento vedute dei luoghi celebri di Edo (1856-1858) a cui appartengono le famose Vedute del ponte di Ōhashi sotto l’acquazzone e del Susino di Kameido riprese da Van Gogh.
L’oggetto principale dell’arte di Hiroshige fu la natura in tutte le sue molteplici espressioni, la sua contemplazione, il suo ascolto quasi religioso come esternazione del respiro del cosmo. Nelle sue composizioni, il paesaggio è visto come luogo di sintesi tra finito ed infinito, tra uomo e natura che si fondono in un contesto armonico e quasi spirituale. La capacità dell’artista di descrivere l’atmosfera di un luogo gli è valsa il titolo di “maestro della pioggia” ed ha ispirato non solo la pittura, ma anche l’allora nascente fotografia occidentale.


In mostra a Milano

HOKUSAI, HIROSHIGE, UTAMARO
Luoghi e volti del Giappone che ha conquistato l’Occidente

“Noi viviamo dall’altra parte dell’oceano, veniamo a voi non con un pugno chiuso ma con una mano tesa”: così il console americano Townsend Harris, interpretato da John Wayne nel film Il barbaro e la geisha di John Huston (1958), si rivolge allo Shogun – alto grado militare simile al nostro generale – per convincerlo ad aprire i porti, uscire dall’isolamento in cui il Giappone si era chiuso per oltre due secoli e firmare un trattato di collaborazione con gli USA. La storia, tratta da un romanzo storico di Ellis St. Joseph, si svolge intorno al 1856 e si rifà all’episodio che vide protagonista nel 1853 la flotta americana che manu militari costrinse il Paese del Sol Levante, sbocco mercantile ambitissimo, ad aprirsi all’Occidente.
Rotto l’isolamento, la realtà nipponica si offrì agli occhi occidentali soffusa dello stesso alone di magia e mistero che aveva affascinato Marco Polo nel suo viaggio in Cina tanto da conquistare tutto e tutti. Una decina di anni dopo il trattato con gli Stati Uniti, il 25 agosto 1866, fu stipulato il Trattato di Amicizia e Commercio tra Giappone e Italia che diede inizio ai rapporti diplomatici tra i due Paesi.
Proprio in occasione del 150° anniversario dell’inizio di queste relazioni che 200 xilografie policrome e libri illustrati provenienti dalla prestigiosa collezione del Museum of Art di Honolulu ci portano nella fluttuante realtà umana in cui operarono i tre artisti per eccellenza dell’ukiyo-e, Hokusai, Hiroshige e Utamaro. I tre maestri risultano essere di estrema attualità in questa nostra “società liquida” (così definita dal sociologo polacco Zygmunt Bauman), che con quella giapponese della loro epoca ha in comune il godimento del singolo momento, il piacere, il divertimento in ogni sua forma a riprova che, dopo aver influenzato nei secoli passati scuole e artisti sia del Giappone sia dell’Europa, i rappresentanti dell’ukiyo-e ancora molto hanno da dire ai giorni nostri. Attraverso gli esseri umani e gli animali, gli umili testimoni dell’esistenza quotidiana, la leggenda e la storia, le solennità mondane e i mestieri, i paesaggi, il mare, la montagna, la foresta, il temporale, le tiepide piogge delle primavere solitarie, l’alacre vento agli angoli delle strade, la tramontana sull’aperta campagna, i volti delicati delle donne, il pubblico della mostra potrà vivere una duplice esperienza: da un lato, sperimentare la stessa meraviglia che provarono davanti alla freschezza e alla semplicità di forme e colori artisti come Monet, Van Gogh, Degas, Toulouse-Lautrec e che contribuì a rivoluzionare il linguaggio pittorico della Parigi di fine Ottocento; dall’altro, conoscere le peculiarità tecniche, l’abilità e la particolarità dei singoli artisti.

Curata dalla professoressa Rossella Menegazzo, docente di Storia dell’Arte dell’Asia Orientale dell’Università degli Studi di Milano, l’esposizione Hokusai, Hiroshige, Utamaro è suddivisa in 5 sezioni: Paesaggi e luoghi celebri: Hokusai e Hiroshige (confronto tra i temi comuni e le differenze di stile e impostazione tra i due noti paesaggisti); Tradizione letteraria e vedute celebri: Hokusai (dimostrazione che all’interno del popolare filone di vedute esisteva una realtà più colta che faceva riferimento ai classici della poesia e della letteratura cinese e giapponese); Rivali di “natura”: Hokusai e Hiroshige (concentrata sulla “pittura di fiori e uccelli”, un genere ricercato e autonomo dell’ukiyo-e, apprezzato per quell’intimità quasi religiosa con la natura con la quale Hiroshige seppe affermarsi); Utamaro: bellezza e sensualità (dedicata interamente al tema della bellezza femminile); I Manga: Hokusai insegna (i 15 volumi di Manga non solo furono d’ispirazione per gli artisti parigini dell’Ottocento, ma fu grazie a loro che il fenomeno del giapponismo passò dall’essere un capriccio esotico a una vera rivoluzione nell’arte dell’epoca).
La mostra si inserisce all’interno di un calendario di manifestazioni che stanno avendo luogo in tutta Italia: mostre d’arte, performance teatrali di burattini e della grande tradizione , concerti e spettacoli di danza moderni e tradizionali, rassegne cinematografiche, eventi d’architettura e design, senza dimenticare i fumetti, la letteratura, lo sport nel tentativo di rappresentare a tutto tondo il mondo culturale e tecnologico giapponese.

HOKUSAI HIROSHIGE UTAMARO
Luoghi e volti del Giappone che ha conquistato l’Occidente
Milano, Palazzo Reale, Piazza Duomo
Fino al 29 gennaio 2017
Orario: martedì e mercoledì 9.30-19.30; giovedì 9.30-22.30; venerdì, sabato, domenica 9.30-19.30; lunedì chiuso.
Durante le festività: 7 dicembre (Sant’Ambrogio) 9.30-19.30; 8 dicembre 9.30-19.30; 24 dicembre 9.30-14.30; 25 dicembre 14.30-18.30; 26 dicembre 9.30-19.30; 31 dicembre 9.30-14.30; 1° gennaio 14.30-19.30; 2 gennaio 9.30-19.30; 6 gennaio 9.30-19.30
Il catalogo è edito da Skira


“La Gazzetta dell’Antiquariato” n. 251-252 – Dicembre 2016/Gennaio 2017

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